Sono trascorsi esattamente duecento anni da quando Leopardi, seduto di fronte ad una siepe che gli impediva la visione della realtà esterna, scopriva l’infinito dentro di sé e vi sprofondava con uno sgomento che era al contempo estremo godimento del naufragio dell’io. Duecento anni misurano una durata, indicano un limite ma, verrebbe da chiedersi, cosa siano questi duecento anni di fronte all’infinità del tempo e dello spazio. E in effetti l’attrazione piena di tremore verso l’esplorazione dell’infinito è da sempre uno dei tratti che caratterizza l’essere umano. Anzi, potremmo dire, che l’uomo è ciò che è, nel bene e nel male, perché non si è mai accontentato dei limiti e dei confini che egli stesso, ogni volta si è posto per difendersi dallo sgomentante infinito; limiti che d’altronde ha anche sempre sentito l’esigenza di infrangere e di superare. È questo desiderio d’infinito che sta all’origine delle più grandi scoperte e progressi che l’uomo ha fatto dentro e fuori di sé, ma che è stato anche radice di grandi violenze.

Già agli inizi del pensiero occidentale Anassimandro poneva l’infinito (ἄπειρον, ápeiron) come origine e destino del tutto edEraclito da Efeso, tra il VI e V sec. a.C., scopriva l’infinità dell’anima: Per quanto tu possa camminare, e neppure percorrendo intera la via, tu potresti mai trovare i confini dell’anima: così profondo è il suo lógos.

Dopo duecento anni dall’idillio di Leopardi, la poesia ci pare essere ancora una di quelle esperienze privilegiate in cui l’uomo si confronta con i propri limiti, li mette alla prova in una dinamica interminabile di apertura verso l’illimitato e ricomposizione all’interno dei confini segnati e da noi stessi assegnati. La parola, la parola scritta, il segno tracciato appare quindi al contempo come linea di confine che si traccia sul foglio, delimitando il significato, e traiettoria che proietta la nostra mente ad indagare l’assenza di limiti esteriori e interiori.

Qual è il limite della poesia? È questo l’interrogativo che Notturni di versi, giunto alla sua quindicesima edizione, intende indagare.

Oggi che l’ossessione dei confini e la paura della loro infrazione sembra prendere il sopravvento, chiudendoci in difesa di identità spesso fittizie e artificialmente costruite ci sembra che la poesia, la più “inutile” delle attività umane, si debba invece assumere un compito di straordinaria urgenza, quello di tenere aperto in noi il desiderio di andare oltre i limiti e aiutarci a provare ancora il brivido di sprofondare nell’infinito fuori e dentro di noi ove per poco il cor non si spaura.

Il porto dei benandanti, giugno 2019

Notturni_diversi_2019

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